
27/04/2025
Ecco a voi un nuovo capitolo di ‘’Avvocati per soli uomini‘’.
Buona lettura.
‘’Le cicatrici invisibili.
L’avvocato Sini ascoltava in silenzio. Era un silenzio allenato, capace di contenere tutto: dolore, rabbia, vergogna, esitazione. Arturo parlava a bassa voce, come se ogni parola fosse una confessione più che una dichiarazione. Le mani intrecciate, lo sguardo basso, e quel tremito leggero che tornava ogni volta che pronunciava il nome di sua moglie.
"Non l'ho detto a nessuno," sussurrò, "mi vergognavo."
Sini annuì appena. Nessuna domanda frettolosa, nessun gesto invadente. Il tempo, in quello studio, aveva un altro ritmo. Arturo ne aveva bisogno.
"Lei mi urlava contro davanti ai bambini. Mi ha colpito con un mestolo, una volta. Mia figlia ha urlato. Mio figlio… ha fatto finta di niente. Aveva dieci anni."
Sini prese appunti su un taccuino dal bordo consumato, ma ogni gesto era misurato, come a voler rassicurare il cliente che nulla sarebbe stato usato contro di lui.
"Mi ha morso. Sulle braccia. E quando sono andato al pronto soccorso… ho detto che era stato il cane. Non abbiamo nemmeno un cane."
Il paradosso non strappò alcun sorriso. Sini non ne cercava. C'era qualcosa di troppo grave, troppo rimosso da ogni retorica. Quell'uomo era l'eccezione che la società non voleva vedere. Una scheggia nella narrazione dominante: l'uomo forte, dominante, sempre colpevole, mai vittima.
"Lei minacciava di portarmi via i bambini, diceva che se avessi parlato mi avrebbe rovinato. E io… credevo che nessuno mi avrebbe creduto."
Aveva ragione, pensava Sini. Nessuno lo avrebbe fatto, se non fosse stato documentato tutto. Se i bambini non avessero iniziato a disegnare figure con occhi tondi e bocche spalancate. Se il vicino non avesse registrato urla e lamenti da dietro il muro. Se Arturo non avesse finalmente raccolto i frammenti della sua dignità e varcato quella soglia.
La moglie di Arturo era una donna elegante, articolata, persino affascinante. Aveva saputo mascherare con una grazia chirurgica ogni eccesso, ogni brutalità. In tribunale si era presentata come la madre perfetta, moglie delusa, donna tradita. Piangeva con precisione, senza mai rovinarsi il trucco.
Il giudice guardava i documenti, le perizie, le fotografie. C’era una registrazione: la voce della donna che urlava, insultava, minacciava. Un tono stridulo, velenoso, che sembrava stonare con il suo aspetto composto in aula.
Sini non fece grandi discorsi. Bastò la verità, messa una parola dopo l’altra come un sentiero tracciato tra le ombre. Nessuna teatralità, nessun vittimismo. Solo i fatti.
"Abbiamo prove di abusi fisici, verbali e psicologici," disse l’avv. Sini, rivolgendosi al giudice con fermezza. "I bambini sono stati testimoni di tutto. Hanno sviluppato ansia, insonnia, crisi di panico. Eppure nessuno, fino ad oggi, ha ascoltato la voce di un padre."
Arturo non guardava mai verso l’ex moglie. Guardava i figli. Li vedeva seduti accanto alla psicologa, dietro un vetro. Gli occhi grandi, spalancati, la speranza che finalmente qualcosa cambiasse.
Il tribunale decise per l’affidamento condiviso, con collocamento prevalente presso il padre. Una misura ancora rara. Ma le prove erano schiaccianti, e la verità aveva trovato la sua strada.
Dopo l’udienza, Arturo pianse. Per davvero, stavolta. Non per paura, non per umiliazione, ma per sollievo. Piangeva come si respira dopo essere stati troppo tempo sott’acqua.
Sini restò in piedi, in fondo al corridoio. Non cercava gratitudine. Solo giustizia. E ogni volta che la otteneva per qualcuno come Arturo, sapeva di aver scalfito una parete. Non abbastanza da farla crollare, ma abbastanza da lasciare entrare un filo di luce.
Il lavoro dell’avvocato divorzista non è fatto solo di carte, né solo di conflitti. È fatto di anime che cercano pace. E in certi casi, di ferite che non lasciano segni sul corpo, ma scavano gallerie nell’anima.
L’avvocato Sini lo sapeva bene.
E per questo restava.’’